Il Corso si prefigge di fornire gli elementi necessari per l'interpretazione e l'applicazione dell'attività motoria, della chinesiologia e dell'area fisico-motoria, oltre a fornire elementi di analisi qualitativa e quantitativa. Individuazione degli strumenti e dei metodi idonei in funzione di un protocollo valutativo specifico.
Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria
di Vincenzo Sorgente
Il Corso si prefigge di fornire gli elementi necessari per l'interpretazione e
l'applicazione dell'attività motoria, della chinesiologia e dell'area fisico-motoria,
oltre a fornire elementi di analisi qualitativa e quantitativa. Individuazione degli
strumenti e dei metodi idonei in funzione di un protocollo valutativo specifico.
Università: Università degli Studi di Firenze
Corso: Scienze e Tecniche dello Sport e delle Attività
Motorie Preventive e Adattate
Esame: Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria
Docente: Elena Martinelli1. Il movimento: cenni di anatomia
La contrazione muscolare, lo spostamento delle leve ossee, ed il mantenimento degli atteggiamenti
posturali, è determinato da degli stimoli provenienti dal Sistema Nervoso Centrale (SNC).
L’esecuzione di un movimento volontario è determinato non solo dall’attivazione di specifici gruppi
muscolari che devono agire in modo coordinato (agonisti, antagonisti, sinergici), ma anche da tutti quegli
stimoli che devono garantire il mantenimento di una corretta postura durante tutto l’azione motoria.
Come già detto in precedenza l’esecuzione di un corretto movimento è dato da degli impulsi provenienti dal
SNC il quale li tende a trasportare attraverso le fibre motrici dei nervi spinali o encefalici al livello dei
muscoli effettori, che sono costituiti da più fibre muscolari che possono essere innervati da diverse fibre
nervose, e il numero di fibre che viene innervato da una singola fibra nervosa prende il nome di unità
motoria.
I centri principali responsabili dell’attività motoria sono:
1. l’area motrice primaria, nella quale avviene la rappresentazione somatotopica del corpo e dalla quale
partono le vie piramidali,
2. l’area motoria supplementare, l’area motoria secondaria, che sono localizzate in prossimità di quella
primaria.
L’esecuzione di un movimento volontario è dato dagli impulsi nervosi che vengono emanati dalle vie
nervose piramidali che sono costituite da un primo motoneurone, localizzato al livello della corteccia
cerebrale, i cui fasci nervosi conducono l’impulso elettrico trasmettendolo al secondo motoneurone,
localizzato nei nuclei motori dei nervi encefalici e nel corno anteriore della sostanza grigia del midollo
spinale, che attraverso il suo prolungamento assonale, raggiunge l’organo effettore il quale viene attivato
ogni qual volta che la scarica elettrica viene trasmessa alla placca neuro-motrice, che ne determina la
contrazione del muscolo.
Ma affinché si possa eseguire un movimento in modo preciso e controllato, è bene che il nostro muscolo non
venga solo attivato dalla via piramidale ma anche da quella extrapiramidale che ha il compito di regolarne il
tono muscolare, nonché sui movimenti automatici e semiautomatici associati ai movimenti volontari.
Gli altri centri nervosi che sono coinvolti nell’atto motorio sono:
• il cervelletto;
• i nuclei della base telencefalica;
• la sostanza nera del mesencefalo;
• il nucleo subtalamico.
I nuclei della base telencefalica, ricevono le informazioni sensibili, attraverso le vie afferenti talamiche che
poi vengono trasmesse al livello della corteccia cerebrale, che elaborandoli determina delle risposte che poi
verranno nuovamente inviate per mezzo delle vie efferenti al livello delle placche motrici facendo si che si
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria possano attivare i giusti gruppi muscoli per eseguire il lavoro richiesto.
Compito del cervelletto invece, è quello di ricevere delle informazioni relative alla posizione del nostro
corpo all’interno dello spazio e di poter regolare il coordinamento delle varie attività motorie.
Infatti esso tende non soltanto va a ricevere delle informazioni propriocettive riguardanti le tensioni
tendinee, le capsule articolari, la muscolatura ecc. ma anche dalle vie vestibolari le informazioni relative alla
posizione del corpo riguardante principalmente la posizione della testa nello spazio.
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria 2. L’atto motorio riflesso
Quando uno stimolo proveniente dall’ambiente esterno viene trasportato tramite i recettori periferici
direttamente ai motoneuroni, ciò viene detto risposta riflessa, perché in tale caso il muscolo si attiva senza
alcun tipo di controllo volontario.
Questo meccanismo si verifica perché lo stimolo passa dalle fibre sensitive, al midollo spinale per poi
scaricarsi direttamente sui motoneuroni delle corna anteriori del segmento midollare, determinando così la
contrazione del muscolo da essi controllati.
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria 3. L’attività motoria volontaria e le vie di moto
L’attività motoria ha origine nella più grande area del cervello, che è quella della corteccia cerebrale,
ovvero una sostanza grigia che riveste la superficie degli emisferi cerebrali e nella quale avvengono i
fenomeni di selezione, integrazione, memorizzazione delle afferenze sensitive e di elaborazione degli
stimoli motori più complessi.
Nell’area motoria primaria sono presenti le rappresentazioni corticali motorie delle diverse parti del
corpo, e la sua dimensione non dipende dalla dimensione reale degli arti, ma da quante fibre nervoso è
innervato il singolo muscolo.
Dall’area motoria primari origina la via piramidale la quale è principalmente deputata a movimenti volontari
fini e rapidi.
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria 4. L’attività motoria controllata
È di fondamentale importanza che ogni qual volta che si inizi un esercizio, si abbia una piena
consapevolezza del movimento che bisogna compiere, eseguendolo in modo lento, preciso e con la giusta
respirazione, affinché lo si possa acquisire nel modo più corretto possibile.
Infatti è preferibile partire sempre da esecuzioni più semplici, in modo tale da poter iniziare ad esercitarsi, ed
imparare a controllare il movimento di ogni singolo segmento coinvolto, per poi raggiungere quello che sarà
il fine ultimo.
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria 5. Concetto di postura
La prima definizione che si è data al termine postura è stata di “atteggiamento abituale del corpo e di parti
di esso”, e nonostante ce ne siano svariate forme, quelle che vengono maggiormente prese in considerazione
sono della posizione: eretta, seduta, quadrupedica e in decubito.
Se la si vuole considerare sotto l’aspetto biomeccanico invece, bisogna distinguere:
• Posture tendenzialmente statiche e tendenzialmente dinamiche;
• Posture integrate come fasi dinamiche evolutive del movimento, più o meno ampi, coinvolgenti numerosi
segmenti corporei;
• Posture ottimizzate a sostegno di movimenti fini e di ampiezza circoscritta dette anche fasi di
mantenimento dell’assetto.
Ad oggi invece con il termine postura si vuole intendere quel giusto equilibrio che si crea tra l’assetto
dinamico del soggetto e l’ambiente circostante, ed è data dalla relazione tra le componenti biomeccaniche,
neurofisiologiche, psicologiche e psicomotorie dell’individuo.
Callie sostenne anche che la postura non era altro che una risposta riflessa del nostro corpo, a emozioni,
impulsi e regressioni, ma quale che sia la definizione di tale termine, in tutti i casi essa è il risultato del
confronto tra lo schema corporeo globale e le singole informazioni sensoriali che fanno si che si attivino
con una contrazione riflessa i muscoli antigravitari.
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria 6. La componente biomeccanica della postura
La componente biomeccanica della postura, si occupa di poter garantire in ogni situazione l’equilibrio
osteo-mio-articolare, ovvero il coinvolgimento osseo, articolare e muscolare che si attiva nel
mantenimento della corretta postura durante una posizione sia statica che dinamica.
Possiamo notare una notevole evoluzione nella storia dell’uomo dovuto dal fatto che inizialmente si
muoveva in posizione quadrupedica, e quindi il baricentro si spostava più in basso e dava una maggiore base
di appoggio al soggetto. Con l’evoluzione alla posizione eretta invece le cose si sono modificate, in quanto
innanzitutto il baricentro si è innalzato in relazione alla struttura antropometrica dell’individuo, e poi la
base di appoggio si è nettamente diminuita dovuto dal fatto che il mantenimento dell’assetto corporeo era
dato dal solo appoggio podalico.
Affinché un movimento si possa produrre, è indispensabile che si applichino delle forze generate dalla
contrazione muscolare che vertono sulle estremità di un braccio di leva, avvicinando o allontanando i punti
di origine ed inserzione dello stesso. Quando si parla di allontanamento dei segmenti muscolari, come nel
caso di una estensione, allora significa che il muscolo agonista (es. tricipite) risponde al movimento di
estensione passiva o attiva dell’avambraccio
Lo spostamento è dato non solo dall’applicazione della forza ma anche da:
• Gradi di libertà articolare;
• Geometria dei rapporti intersegmentari;
• Impedenza meccanica del sistema.
La forza che ogni muscolo è in grado di produrre dipende dal rapporto tra le condizioni meccaniche di
lavoro e la lunghezza dello stesso, perché il sistema nervoso per creare una azione sfrutta proprio
l’allungamento e l’accorciamento muscolare.
La funzione antigravitaria, non è altro che la risposta motoria del corpo alla forza di gravita, in cui si
attivano degli automatismi neuromuscolari che regolando i gradi articolari e garantiscono il mantenimento di
una corretta postura.
Le articolazioni che sono maggiormente convolte sono:
1. Sotto astragalica;
2. Mediotarsica;
3. Tibio-peroneo astragalica.
Il piede rappresenta la base di appoggio sul quale si scaricano le forze provenienti dalla parte superiore del
nostro corpo, cui la porzione che è in diretto contatto con il suolo è la volta plantare, che si deve adattare alle
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria varie superfici in modo tale da poter permettere una corretta postura, mantenendo invariata la posizione
della caviglia e del ginocchio.
Il ginocchio viene considerato come una articolazione ad un solo grado di libertà, ovvero quello di rotazione
sul piano sagittale, a differenza dell’anca, la quale essendo una enartrosi è capace di produrre dei robusti
contrasti passivi.
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria 7. Ampiezza del movimento articolare (mobilità)
L'ampiezza del movimento articolare è determinata da una molteplicità di fattori, quali:
• Forma delle superfici articolari;
• Azione limitante dei segmenti;
• Azione di comando o di limitazione muscolare;
• Distribuzione della massa muscolare attorno ad una articolazione.
È stato appurato come la continua attività motoria possa comportare ad una riduzione di complicanze del
ROM, cosa che potrebbe essere data principalmente da una inattività o in seguito all’invecchiamento.
Altri fattori possono essere:
• Il tipo di costituzione, in base se si sta parlando di un endoforme, ectoforme o esoforme.
• Abitudini e stili di vita;
• Stato di salute.
Si possono distinguere tre tipi di mobilità:
1. Mobilità scheletrica, da una massima escursione articolare;
2. Mobilità attiva, che è data dall’attivazione muscolare;
3. Mobilità passiva, data sempre da forze esterne al nostro corpo, la quale da una maggiore escursione
articolare rispetto a quella attiva, ma non rispetto a quella scheletrica.
La mobilità articolare si calcola in gradi.
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria 8. La componente neurofisiopatologica della postura
L’uomo si tende a differenziare dalla specie umana, proprio perché la postura, e quindi anche il suo
atteggiamento posturale, dipende molto dalla relazione che intercorre tra l’aspetto psicofisico e
psicoaffettivo.
La postura dipende da una molteplicità di fattori quali:
• la struttura muscolatura scheletrica, la quale interviene ogni qual volte che si crea una condizione di
squilibrio, e quindi si attiva affinchè si possa mantenere un corretto atteggiamento posturale sia in
condizione statica, dove si cerca di riportare il baricentro all’interno del poligono di base, che in condizione
dinamica, dove in questo caso le forze devono passare per la base.
Un soggetto quindi per mantenere un assetto corporeo eretto necessita dell’integrità e del rapporto di una
molteplicità di fattori, che nel loro insieme prendono il nome di Sistema-Tonico-Posturale (STN).
La componente neurofisiologica della postura è costituita da:
• esterocettori, i quali inviano al SNC le informazioni provenienti dall’ambiente esterno;
• enterocettori, i quali inviano delle informazioni al SNC provenienti dall’interno del soma;
• centri nervosi superiori, quali il SNC, il quale riceve delle informazioni sensoriali, in modo tale da
poterne elaborare delle risposte, e quindi garantire un corretto equilibrio corporeo, ovvero una corretta
postura in relazione all’ambiente che lo circonda.
In posizione eretta per quella che è la forza di gravità il nostro corpo viene spinto sul suolo, ed in assenza
di stimoli l’articolazione delle ginocchia verrebbe a flettersi, comportando così un piegamento della coscia
sulla gamba, ma visto e considerato che il nostro corpo cerca di mantenere quella che è la sua verticalità,
allora si attivano i propriocettori, quali i fusi neuromuscolari e gli organi tendinei del Golgi, che per
risposta riflessa, danno una contrazione del quadricipite femorale, garantendo così la stabilità verticale del
corpo.
Si può parlare di tre tipi di riflessi, quali:
1. il riflesso miotatico tonico, che attiva continuamente la muscolatura antigravitaria, garantendo così il
mantenimento della postura eretta;
2. il riflesso miotatico fasico, il quale in seguito all’allungamento del muscolo attiva i fusi neuromuscolari,
ed è principalmente importante ad esempio nella deambulazione, perché permette l’attivazione di un singolo
distretto muscolare;
3. i riflessi propriocettivi cervicali, principalmente coinvolge le informazioni provenienti dai recettori del
collo che registrano le variazioni angolari della testa-tronco, che combinati con i riflessi vestibolari,
garantiscono una corretta postura.
Organo di principale importanza per il mantenimento di un corretto assetto corporeo, è il cervelletto, che
riceve informazioni non soltanto della sensibilità vestibolare ma anche propriocettiva, proprio perché il suo
compito è quello sia di dare delle informazioni relative al posizionamento delle varie parti del corpo
all’interno dello spazio, ma anche quello di poterne garantire un lavoro armonico e coordinato durante lo
svolgimento di un atto motorio.
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria
Attraverso numerosi studi e numerose ricerche, si è riuscito anche a capire che un mal funzionamento dell’
apparato stomatognatico dato dall’occlusione cranio-cervico-mandibolare comporti a delle gravi
problematiche al livello posturale, causando anche in alcuni casi sintomatologie abbastanza dolorose.
Gli esterocettori, come già detto in precedenza ricevono delle informazioni provenienti dall’ambiente
esterno inviandole al STP, e questi recettori sono localizzati al livello dell’orecchio intero, dell’occhio e
della superficie cutanea.
Per quanto riguarda i recettori localizzati al livello dell’orecchio, essi sono degli accelerometri, ovvero
inviano delle informazioni riguardanti lo spostamento della testa sia in rotazione che in linea, rispetto
all’asse verticale del corpo. L’orecchio infatti ha tre canali arciformi che danno la suddetta informazioni, cui
i canali semi-circolari danno l’informazione riguardante l’accelerazione angolare (rotazione della testa),
mentre il sistema otilitico, contenuto nelle due vescicole, il sacculo e l’utricolo, danno delle informazioni
sulle accelerazioni lineari della testa. Bisogna però sottolineare come i canali semi-circolari non partecipano
nella regolazione fine dell’equilibrio, in quanto la sua soglia minima, affinchè si possano ricevere
l’informazione, è superiore rispetto a quella che serve per regolare il sistema posturale fine.
L’occhio, invece, attraverso la retina, permette il mantenimento dell’equilibrio posturale durante i
movimenti antero-posteriori, mentre per quelli di destra e sinistra di maggiore importanza è la visione
centrale.
L’occhio permette di poter comparare le informazioni provenienti non soltanto dal proprio organo ma anche
dall’orecchio mediante sei muscoli oculomotori.
Da non sottovalutare è la funzionalità del piede, che da un punto di vista biomeccanico, immagazzina
l’energia proveniente dalla scarica del peso corporeo sul suolo, in modo tale da poterla sfruttare in parte per
l’azione muscolare che garantisce il movimento e la stabilità corporea. Dal punto di vista sensoriale esso
invia delle informazioni riguardanti la massa corporea in rapporto all’ambiente, e sulle sollecitazioni
dell’insieme della massa corporea e quindi il piede in questo caso assume più che altro una funzione come
se fosse un piatto stabilizzatore.
Esso è anche causa delle principali problematiche che si sviluppano al livello del rachide infatti può avere
una funzione:
• causativa, ovvero è il principale fattore eziopatologico;
• adattiva, ovvero si adatta a quel determinato squilibrio, dove in una fase iniziale è correggibile, mentre a
lungo andare diventa irreversibile;
• misto, sia causativo che adattivo.
Le problematiche al livello podalico conseguenzialmente si scaricano al livello vertebrale,
dell’articolazione del ginocchio e delle anche, infatti:
- Si possono avere delle conseguenze sul rachide lombare e dorsale ogni qual volta che il piede assume un
atteggiamento pronato e valgo con conseguente ipercifosi dorsale e iperlordosi lombare
- In caso piede cavo invece si ha una ipocifosi dorsale e ipolordosi lombare
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I problemi posturali si verificano con tre meccanismi:
1. Modalità biomeccanica, ad esempio il piede valgo può provocare ginocchio valgo, coxalgia, iperlordosi
lombare ecc.
2. Circuiti corti, quindi si parla di riflessi segmentari (parto cesareo)
3. Circuiti lunghi, quindi si parla dell’influenza della lateralità.
La postura viene immagazzinata sotto forma di atteggiamento al livello dei sistemi di controllo motorio,
grazie ai quali si riescono ad attivare una serie di meccanismi che in base a quelle che sono le varie
condizioni alle quali il soggetto viene sottoposto, ricercano sempre il corretto assetto corporeo (corretta
postura).
L’apparato vestibolare è di fondamentale importanza, perché stabilizza l’immagine della retina durante gli
spostamenti del capo, ma alla regolazione e al mantenimento di una postura corporea ruolo importante lo
svolgono anche i muscoli antigravitari, che si contraggono per mezzo di una risosta riflessa.
Uno studio che ha contribuito nell’affermare che l’allungamento muscolare aiuta nell’acquisizione un
corretto schema corporeo, è stato eseguito con le tavole vibranti, per mezzo delle quali si avevano delle
maggiori conoscenze sulla posizione dei segmenti corporei all’interno dello spazio, perché si andavano ad
attivare i fusi neuromuscolari, e anche perché questo continuo spostamento DX, SN contribuiva
all’attivazione dei riflessi vestibolari che influiscono sull’orientamento corporeo.
Da ciò si è potuto attestare che non si può parlare di movimento se non si parla di postura, la quale si adatta
in base alle varie situazioni.
Problemi al livello propriocettivo, esterocettivo, dei centri superiori o degli organi effettori, risultano
dannosi, perché portano il soggetto ad assumere delle posture scorrette per via della ricerca di poter
sopperire a tali problematiche, che conseguenzialmente portano a rigidità muscolare, riduzione della
mobilità articolare ecc.
Per intervenire a tale problematica, è importante lavorare sulla causa del problema e sulla sintomatologia. Le
cause del problema possono essere:
• Disturbi proprio ed esterocettivi;
• disturbi dei centri superiori;
• disturbi agli organi effettori del movimento (muscoli).
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria 9. La componente psicomotoria della postura
La postura come già detto, è il risultato del confronto tra le informazioni propriocettive ed esterocettive, che
avviene al livello del SNC, dove si andrà a seguire uno schema modello che ormai il soggetto ha
interiorizzato.
L’atto motorio e la postura, quindi, non sono altro che il risultato tra il confronto dello schema corporeo
generale e le informazioni specifiche (udito, vista, tatto ecc.)
Ma ogni qual volta che si presenta una alterazione morfologica, essa non va vista soltanto come un disturbo
dal punto di vista osteo-articolare o muscolare, ma bisogna considerare tutti quei processi che avvengono al
livello del SNC.
La percezione del proprio corpo è l’elemento cardine affinchè si possa eseguire un atto motorio, e dal puto
di vista biomeccanico di fondamentale importanza sono le informazioni:
• visive, perché ci permettono di individuare le posizioni spaziali, gli spostamenti relativi e la velocità
percepita come mutamento spaziale nel tempo;
• Uditive, in funzione di accelerometro;
• Tattili, che hanno funzione di dinamometro e quindi ne valutano la forza.
Ad oggi è stato possibile affermare come si ha una stretta relazione tra il sistema percettivo e quello motorio,
perché l’uno non può esistere senza l’altro, ovvero mi muovo perché percepisco, e percepisco perché mi
muovo.
Avere una buona percezione del proprio corpo è anche importante per l’apprendimento, dovuto dal fatto che
è solo in tale modo che il soggetto avrà la capacità di poter correggere e memorizzare un movimento nel
modo più preciso possibile. È sempre da ricordare e da non sottovalutare, che è attraverso il proprio corpo
che il soggetto si relaziona con l’altro e con il mondo esterno, ovvero sfrutta il linguaggio corporeo per
comunicare con gli esseri e l’ambiente.
Con il termine di schema corporeo, invece si intende la capacità del soggetto di poter avere una immagine
tridimensionale di sé all’interno dello spazio sia un condizioni statiche che dinamiche e si tende a costruire
intorno al 12’simo anno di età. Lo schema corporeo si realizza attraverso la percezione delle informazioni
sia propriocettive che esterocettive, e quindi permettono di poter collegare il proprio corpo con l’ambiente
esterno.
Durante tutta la nostra esistenza si attivano dei meccanismi che ci permettono di poter modulare gli equilibri
in base alla condizione che si sta vivendo in quel momento, e per esercitarsi sul controllo, bisogna:
• Conoscere i meccanismi coinvolti e le connessioni tra le varie componenti;
• Operare sia sui segnali esterni che interni;
• Valutare i risultati ottenuti.
Ovvero tutto ciò si traduce con un abituarsi a sentire attraverso il proprio corpo.
Tutti i meccanismi sopra citati di riequilibrio si traducono semplicemente con quelli che sono i meccanismi
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria di feedback e feedforward. Con il primo termine si intendono delle informazioni di ritorno che sono più
lente rispetto al secondo, e permette di poter controllare il movimento durante tutta la sua esecuzione.
Mentre con il termine di feedforward si hanno delle informazioni più veloci che si attivano durante
l’esecuzione di movimenti precisi, come lanci o tiri al bersaglio, e di coordinazione (oculo-manuale, spazio-
temporale), che vedono impegnate più strutture contemporaneamente.
Questi elementi garantiscono in un soggetto sano senza alcun tipo di disturbo o alterazione anatomica il
mantenimento di una corretta postura, la quale però potrebbe essere alterata per via di una scorretta
costruzione dello schema corporeo, che conseguenzialmente attiva degli atteggiamenti compensatori che poi
tramutano appunto in schemi errati.
Affinché si possa rimediare a ciò, è importante che si vadano a eseguire degli esercizi in modo costante e
mirato, in modo tale da indurre ad un condizionamento corretto. L’educazione postural, quindi, mira
prevalentemente sul tono muscolare e sull’equilibrio, fattori che influenzano direttamente lo schema
corporeo.
Differente invece è il discorso ogni qual volta che la deviazione assiale è provocata ad esempio da una
dismetria degli arti inferiori, e quindi tali problematiche sono SEMPRE di natura neuromotoria.
L’apprendimento motorio e la strutturazione degli schemi posturali si ricerca con:
- Osservazione e analisi della propria immagine;
- Controllo segmentario durante l’esecuzione delle proposte;
- Acquisizione degli equilibri;
- Capacità di rilassamento e controllo globale;
- Controllo della respirazione;
- Coordinazione dinamica segmentaria e generale;
- Strutturazione e controllo della lateralità.
La scorretta postura può essere data oltre che da dismorfismi, problematiche che coinvolgono più apparati
ecc., anche da:
• Non consapevolezza del proprio corpo;
• Atteggiamenti viziati;
• Turbe transitorie della crescita.
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria 10. Rachide e Postura
Al livello cerebrale si ha una scarsa rappresentazione del rachide, ed è proprio per questo che si lavora con
esercizi di propriocezione con contrazione e decontrazione muscolare della colonna vertebrale, con
l’utilizzo anche di specchi angolari ed uno posizionato al di sopra del capo.
La colonna vertebrale ha 3 funzioni principali che sono:
1. È il punto di unione tra la pare superiore e quella inferiore del corpo;
2. Mobilità del tronco;
3. Protezioni dei costituenti nervosi.
La colonna vertebrale è possibile osservarla mediante una RX dove sul piano frontale appare rettilinea,
mentre vista sagittalmente si possono apprezzare 4 curvature quali:
1. Curva di lordosi cervicale, articolata e a concavità posteriore (20° circa), ed è meccanicamente la più
debole e comprende le 7 vertebre sacrali;
2. Curva di cifosi dorsale, articolata e a concavità anteriore (30°- 40°) comprende le 12 vertebre toraciche;
3. Curva di lordosi lombare, articolata e a concavità posteriore (40°- 50°+) la quale meccanicamente è la
più mobile e quindi la più soggetta a fattori di rischio. Comprende le 5 vertebre lombari.
4. Curva sacrale, convessa posteriormente, risulta essere la più rigida e si articola al bacino.
Le curve della colonna vertebrale si sviluppano in tempi differenti, infatti le curve cifotiche vengono
definite primarie, perché si sviluppano prima, mentre quelle lordotiche secondarie, le quali come già detto in
precedenza essendo maggiormente mobili sono più soggette a problemi di rischio.
La curva cifotica dorsale, invece avendo una maggiore concavità anteriore, risente non solo del gravare del
peso corporeo, ma anche di momenti di forza che comportano flessioni del rachide.
Sulla colonna vertebrale si hanno due tipi di strutture che garantiscono la sua stabilità e la mobilità, che
sono i sistemi di controllo attivi e passivi.
• I sistemi di controllo passivi, articolazioni, dischi e gabbia toracica, sviluppano il blocco articolare
generando una risposta meccanica di resistenza antagonista alla deformazione.
Le alterazioni di tali sistemi sono le più dannose, visto e considerato che la colonna vertebrale ospita nel suo
interno la rete del sistema nervoso del nostro corpo, e quindi ad esempio lo schiacciamento o la deviazione
della colonna potrebbe causare danni reversibili come anche irreversibili.
L’aspetto positivo di tale sistema è che per il suo funzionamento richiede di una soglia di energia molto
vicina a quella del metabolismo basale.
• I sistemi di controllo attivi, invece sono rappresentati dai muscoli della colonna e dai muscoli
dell’addome, i quali hanno una maggiore valenza nell’equilibrio posturale e di un suo eventuale
riassettaggio, garantendo anche la funzione cinematica cosciente della colonna vertebrale. L’unico
svantaggio che essi presentano, è l’alta richiesta energetica.
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria 11. Assi
I movimenti della colonna vertebrale, avvengono sui seguenti assi:
1. La rotazione attorno all’asse x avviene sull’asse trasversale, permette movimento di flesso estensione del
rachide dove il centro di movimento è localizzato al centro del corpo vertebrale della vertebra sottostante,
facente eccezione la C2 e C3 che scaricano direttamente su C4.
2. La rotazione attorno all’asse y avviene sul piano orizzontale, determina il movimento di rotazione vero e
proprio. Il centro del movimento al livello cervicale è localizzato al centro del canale rachide, al livello
toracico sul centro del corpo e al livello lombare sul processo spinoso.
3. La rotazione attorno all’asse z avviene sul piano frontale e permette i movimenti laterali, dove
anteriormente si scarica al livello del corpo vertebrale, mentre posteriormente al livello dei processi spinosi.
Ma in base alle posizioni che il nostro corpo assume, la colonna vertebrale subisce delle variazioni al livello
delle curve fisiologiche, per intervento dei sistemi di controllo attivi o passivi che cercano di mantenere
stabile l’equilibrio posturale.
Nella postura astenica, le curve del rachide si accentuano con una iperlordosi lombare e un aumento della
cifosi dorsale. L’iperlordosi lombare è dovuta principalmente per la contrazione dell’ileopsoas che costringe
il bacino a eseguire una antiversione, e quindi affinchè si possa ridurre ciò è necessario ridurre la tensione
del muscolo e quindi conseguenzialmente la posizione assunta dal bacino.
Nel passaggio dalla posizione eretta a quella seduta, le curve fisiologiche si alternano in base alla
presenza dell’appoggio posteriore del tronco o meno.
• Nella posizione seduta in appoggio ischiatico, dove manca l’appoggio dorsale, intervengono gli
stabilizzatori attivi (sistema di controllo attivo) al fine di poter mantenere l’equilibrio della postura,
principalmente con l’intervento dei muscoli del cinto scapolare e del trapezio. In questo caso per
l’antiversione del bacino, si crea una accentuazione della lordosi lombare.
• Nella posizione seduta in appoggio ischio-crurale, denominata anche posizione del cocchiere, si può notare
come si ha un rilassamento dell’ileopsoas dovuto dal fatto che le mani poggiando sulle ginocchia,
determinano una minore tensione sul muscolo e quindi si verifica una retroversione del bacino che
conseguenzialmente ne riduce l’eccesiva lordosi lombare, ma conseguenzialmente aumenta la cifosi dorsale.
In questo caso intervengono gli stabilizzatori passivi per il mantenimento dell’equilibrio.
• Nella posizione seduta in appoggio ischio-sacrale, in questo caso abbiamo l’appoggio posteriore che
determina un maggiore rilassamento al livello della colonna vertebrale, portandosi il bacino in retroversione
e aumentando così la cifosi dorsale. Maggiore è l’inclinazione dello schienale e minore sarà l’’attivazione
dei muscoli erettori.
Altra posizione da dover tenere in considerazione è quella in decubito prono, supino e laterale.
Nella posizione in decubito supino, le curve fisiologiche del rachide cambiano in base se gli arti inferiori si
trovano in posizione distesa o flessa. Innanzitutto, la colonna vertebrale perde la sua funzione antigravitaria,
e quando gli arti inferiori sono distesi, per il reclutamento dell’ileopsoas, si verifica una antiversione del
bacino che comporta alla lordizzazione lombare e mantenimento della cifosi dorsale. Mentre in caso
Vincenzo Sorgente Sezione Appunti
Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria contrario se sono flessi, l’ileopsoas si rilassa e quindi si ha una retroversione del bacino che ne riduce
conseguenzialmente l’iperlordosi lombare.
Nella posizione di decubito prono, gli arti inferiori sono obbligatoriamente tesi e per quanto descritto
prima è inevitabile l’iperlordosi al livello lombare.
Mentre nella posizione in decubito laterale, si presenta una curva sinuosa, con aumento della convessità
dorsale che è superiore rispetto a quella che si verifica al livello lombare.
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria 12. Conseguenze della postura e dei movimenti sulla distribuzione
dei carichi
L’equilibrio della colonna vertebrale è garantito principalmente dal fatto che il carico sulle singole
vertebre si scarica in modo simmetrico, mentre ogni qual volta che si ha una perturbazione del rachide
invece queste forze vertono in modo asimmetrico causando l’instabilità vertebrale.
Per sopperire a ciò si creano delle forze di compressione e di trazione come ad esempio accade durante un
movimento di rotazione lungo il piano frontale, dove la compressione si ha sul lato della concavità, mentre
la trazione sul lato della convessità.
La mobilità articolare della colonna vertebrale è data dalla presenza di un disco fibrocartilagineo inserito
tra le vertebre, ovvero il disco intervertebrale che per la sua composizione idrica, ne limita le forze di
compressione provenienti sia dal peso corporeo che da eventuali carichi esterni, e mantiene stabile la
colonna.
Nei movimenti di flessione al livello lombare, possiamo notare come si ha una riduzione della lordosi
lombare con una accentuazione della cifosi toracica. I dischi intervertebrali per quella che è la loro
composizione, alterano la propria struttura morfologica, appiattendosi anteriormente e inspessendosi
posteriormente.
La mobilità delle vertebre lombari in flessione, è limitata per l’intervento del legamento longitudinale
posteriore, dei legamenti gialli e interspinosi e della tensione delle capsule articolari. La cerniera lombo
sacrale nel suddetto movimento interviene per i ¾ della dinamica flessoria di tutto il rachide dove il 65% è
garantito dal tratto che va da L5 a S1 mentre il 25% da L4 a L5.
Al livello toracico per quanto concerne il disco intervertebrale avviene la stessa cosa detta in precedenza
soltanto che in questo caso il movimento tenderà ad essere limitato per il fatto che alcune vertebre toraciche
si articolano con le coste, per l’intervento del legamento longitudinale e per il contatto dei processi articolari
e spinosi di due vertebre contigue.
Mentre il tratto cervicale risulta essere quello maggiormente mobile e stabile, dove il movimento origina
dalle prime due vertebre, ovvero dall’atlante e dall’epistrofeo cui i legamenti connessi tra queste vertebre
ne garantiscono la mobilità e la stabilità.
Il movimento di estensione del rachide, tende a comportare un aumento della lordosi lombare e cervicale,
con una riduzione della cifosi al livello toracico. Ma l’eccessiva estensione lombare, viene frenata per
l’azione del legamento longitudinale anteriore e anche per il contatto delle strutture ossee. In seguito
all’estensione del rachide si verifica che il disco intervertebrale scivola in avanti con il corpo della vertebra
sovrastante che si inclina verso dietro.
Il movimento in flessione laterale, invece prevede un’accentuazione delle curve fisiologiche sul piano
trasversale, con un incurvamento verso dx o verso sn. Tale movimento si viene a verificare maggiormente al
livello del tratto lombare e cervicale, ma ancora di più nel tratto toraco-lombare. Al livello dorsale nel
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Teoria Tecnica Didattica Attività Motoria momento della flessione, il movimento viene bloccato dalle 12 coste che formano la gabbia toracica e che si
articolano sulle 12 vertebre toraciche, che in tal momento si aprono gli spazi intervertebrali.
Il movimento di flessione necessita sempre di essere accompagnato dal movimento di torsione per
l’orientamento delle faccette articolari, e delle direzioni dei muscoli e dei legamenti.
Per quanto riguarda invece il movimento di torsione, esso si esegue lungo l’asse verticale e se ne verifica
una maggiore escursione articolare al livello del rachide cervicale, a differenza di quello lombare, che per
via della sua conformazione anatomica ne pare più limitato.
I valori di massima flessione ed estensione approssimativamente sono i seguenti:
• Rachide lombare (L1-L5) flessione max 60°- estensione msx 35°.
• Rachide toraco lombare (T1-L5) flessione max 105°- estensione max 60°.
• Rachide cervicale (C1-C7) flessione max 40°- estensione max 75°
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